Hämatli & Patriæ

Mostra
La Vlora attraccata al molo del porto di Bari, 8 agosto 1991. Immagine di: Agenzia Luca Turi, Bari.
16.09.2017—14.01.2018

I concetti di Heimat e patria riletti alla luce della più recente attualità in Europa sono al centro della mostra proposta da Nicolò Degiorgis (Bolzano, 1985), guest curator a Museion 2017.

La struttura, fisica e concettuale, del percorso espositivo è data dall’opera L’arca di Noè sul monte Ararat, dipinto fiammingo del 1570 di Simon de Myle, che ritrae lo sbarco dell’arca e non la sua partenza, soggetto abitualmente rappresentato. Prendendo spunto da questa scena curiosa, a tratti grottesca, la mostra si presenta come una grande mise-en-scene del dipinto stesso e una sua traduzione in chiave contemporanea. Tematiche come la migrazione, il nazionalismo, il populismo e l’identità sono trattate sotto forma di dialoghi ispirati da personaggi, animali, oggetti e situazioni presenti all’interno del dipinto.

Il percorso espositivo, che presenta oltre trenta opere tra video, sculture, installazioni, fotografie, disegni, libri d’artista e documenti, prende quindi forma in un’installazione da esplorare, che offre spunti di riflessione su alcuni eventi degli anni recenti. Il dialogo portante è tra Hämatli, termine germanico all’origine della parola Heimat e patriæ, termine latino che indica la patria, quindi il concetto di nazione e paese. Da questi due poli si sviluppano 23 ulteriori dialoghi, come ad esempio oriente e occidente, recto e verso, preda e predatore, terra e mare, confine e orizzonte, porci e economia.

Installation view. Foto: Luca Meneghel

Lo spazio espositivo è dominato, nella parte centrale, dalla riproduzione in grande scala di una fotografia di Luca Turi entrata ormai nell’immaginario collettivo sulla migrazione: il primo sbarco di migranti dall’Albania sulla nave Vlora nel porto di Bari nel 1991. La foto forma il dialogo tra habitat e habitus con l’installazione Romeno è Giulietta, 2015 dell’artista Eugenio Tibaldi. Si tratta di un’opera lirica sul tragico destino di Dimitri, migrante rumeno, che proprio dalla Vlora era sbarcato: finito a lavorare per una ditta di pandori a Verona muore tragicamente dopo un’operazione per cambiare sesso.

L’affollamento brulicante dei corpi sul molo di Bari, riportato nell’immagine della Vlora, si trasmette idealmente nel tappeto di tessere colorate, frammenti di un enorme puzzle che invade e “contamina” lo spazio espositivo, arrampicandosi fin sulla parete. Si tratta della scultura modulare Devi urlare in un bosco per sentirne l’eco, 2017 di Luca Trevisani. Creata per l’occasione, essa forma uno spazio vivo, abitato dallo spettatore e dalle altre opere in mostra. L’opera di Trevisani è in dialogo con i disegni dello svizzero Ernesto Schick sulla flora ferroviaria della stazione di Chiasso. In questa zona di confine si è creato un singolare habitat caratterizzato da un’elevatissima biodiversità, grazie alle particolari condizioni del suolo estremamente antropizzato, unite alla presenza di semi non autoctoni trasportati parassitariamente dai treni.

Installation view. Foto: Luca Meneghel

Il video Volga del 2015 dell’artista ceceno Aslan Gaisumov narra invece di un viaggio, o meglio della fuga dell’artista insieme ad altre venti persone stipate a bordo di un’unica automobile per sfuggire da Groznyj durante la prima guerra cecena. Degiorgis vi pone in dialogo (terra e mare) un altro video, Kwassa Kwassa del collettivo danese SUPERFLEX, che ritrae il lavoro di un costruttore di barche su un’isola Comore nell’Africa Orientale. Le barche trasportano migranti verso la vicina isola di Mayotte in territorio francese e quindi europeo – un attraversamento che ha già contato più di 10.000 naufraghi.

Altri gruppi di opere tematizzano elementi caratterizzanti le nozioni di patria e nazione, come la bandiera dilaniata da due lupi nel video Homo Homini Lupus, 2011 di Filippo Berta o ridotta a un grafico bianco e nero nel video Flash Flag / Pink Nois di Philipp Messner, dalla Collezione Museion. L’opera mostra in successione rapidissima le 191 bandiere degli stati sovrani riconosciuti dall’ONU, impedendone il loro riconoscimento. O, ancora, nella bandiera che diventa instabile scultura dark di parti divergenti cucite insieme nell’installazione Infinite Contradictions del collettivo rumeno Apparatus 22. La patria come terra e quindi il concetto di radici è al centro dell’opera smash up di Andrea De Stefani in relazione dialettica con la migrazione rappresentata in mostra nell’opera Fußobjekte di Hans Winkler.

Installation view. Foto: Luca Meneghel

Le due forme in ghisa riproducono i passi della mummia del Similaun, nota come Ötzi, tra l’altro a lungo oggetto di un contenzioso tra Italia e Austria sulla nazione di appartenenza. Il concetto di limite e confine investe anche lo spazio aereo, che nella poetica opera di Henrik Håkansson, Vertical swarm (Sturnus vulgaris) #01 si fa riflessione sulla delicata relazione tra gli esseri, per cui la libertà di uno finisce dove inizia quella degli altri. Per la sua installazione l’artista svedese utilizza infatti degli storni di uccelli imbalsamati, uccisi nei paraggi di un aeroporto del nord Italia, pratica usuale per evitare disturbi al traffico aereo.

Visioni aeree sono al centro anche dell’opera di Walid Raad Cotton under my Feet, 2007-2011 (Collezione Museion), composta da vedute del cielo su diverse città degli Stati Uniti. Nel suo tentativo di ricordare che colore avesse il cielo il giorno dell’undici settembre, l’artista libanese ha consultato diverse fonti individuando 96 sfumature di blu, che corrispondono alle sezioni del lavoro esposto.

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L’invito ad ampliare lo sguardo suggerito da molte opere si riflette nella struttura fisica del percorso. Passata la prima sezione della mostra, ci si trova immersi nel buio di una grande camera oscura, che riflette l’immagine capovolta dell’esposizione, di cui fino a poco fa si era parte. Solo procedendo e giunti al termine –o a un nuovo inizio- del percorso, si trovano “svelate” le analogie con il dipinto antico e le coppie di dialogo che hanno ispirato Nicolò Degiorgis nella sua visione.

L’esposizione è stata preceduta da cinque presentazioni di libri d’artista presso lo stesso Museion e, parallelamente, in cinque luoghi sul territorio connessi ai temi dei libri. L’idea è portare l’arte fuori dal museo e quindi in luoghi, comunità e ambienti lontani dalla fruizione dell’arte contemporanea. I luoghi coinvolti da gennaio 2017 sono stati: scuole Alexander Langer, Bolzano; Villaggio Eni di Borca di Cadore (in collaborazione con Dolomiti Contemporanee), Seminario Maggiore di Bressanone, Plessi Museum (in collaborazione con l’Autostrada del Brennero); a questi si aggiunge, da settembre 2017, la Casa circondariale di Bolzano.

Artisti e artiste in mostra: Yuri Ancarani, Apparatus 22, Filippo Berta, Mohamed Bourouissa, Donna Conlon, Simon De Myle, Nicolò Degiorgis, Hannes Egger, Aslan Gaisumov, Henrik Håkansson, Petrit Halilaj, Laëtitia Badaut Haussmann, Paolo Icaro, Armin Linke, Marcello Maloberti, Philipp Messner, Giuseppe Penone, Walid Raad, Ernesto Schick, Giovanna Silva, Superflex, Eugenio Tibaldi, Luca Trevisani, Luca Turi, Danh Vo et al.

Nicolò Degiorgis (Bolzano,1985) studi in Lingue Orientali alla Ca’ Foscari di Venezia e a Pechino, Degiorgis insegna fotografia artistica all’Università di Bolzano e nelle carceri del capoluogo. È fondatore della casa editrice Rorhof e curatore presso la galleria foto-forum di Bolzano. Come artista fotografo, ha all’attivo diverse mostre in istituzioni e rassegne nazionali e internazionali. Per il suo libro “Hidden Islam” (islam nascosto) gli è stato conferito il premio come miglior libro d’autore dal prestigioso Festival Recontres d’Arles nel 2014.

Hämatli & Patriæ

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Curatore: Nicolò Degiorgis

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